Essendo (ri)cominciata la “stagione” del musical reality X-Factor, mi sono deciso a riprendere in mano mouse e tastiera, per scrivere di una storia che mi ha toccato molto.
Intanto cominciamo dal fattore scatenante: X-Factor
Pur non avendo nulla in contrario circa la ricerca del talento (esiste dalla notte dei tempi ed in qualsiasi campo) sono decisamente contro la sua spettacolarizzazione ed ancor di più se risulta promossa evidenziando più il processo di esclusione che non quello di inclusione. La Cultura dovrebbe servire ad unire non a dividere: ricordiamolo ogni tanto !
Sbaglio ? Senz’altro, ma pensiamoci.
La regola di questi intrattenimenti (i reality tipo X-Factor) non è forse enfatizzare – spesso anche con l’umiliazione – la sconfitta, quindi l’ELIMINAZIONE, di un concorrente ?
Volendo continuare si potrebbe evidenziare che il premio o la sconfitta vengono decretati secondo canoni assolutamente personali di chi – per ragioni molto interne ed interessate allo “show business” – è definito Maestro, il quale “lavora” in modo molto conservatore ed omologato: questo vuole il mercato, questo deve venire premiato. Una logica da pensiero dominante e conformista che – aridaje – esclude le diversità.
Secondo voi il vero talento – dei Bob Dylan, dei Chaplin, dei Fellini, della gente “diversa”… – è riconosciuto in porcate come queste ?
Per intenderci, basta un fotogramma di X-Factor e – automaticamente – penso a De Andrè ed alla sua passione di raccontare gli ultimi, di farne Vangelo (ciao Gallo !) con le sue storie ai margini, con i suoi “zingari” a furia di essere vento…
E quest’estate sotto il palazzo dei Papi ad Avignone (“contro quel cielo che dicon di Dio”) ho incontrato due Gitani che allietavano la calda giornata provenzale con un violino ed una fisarmonica. Godendo di una momentanea solitudine della piazza – e della famiglia, persa in negozietti – sono stato rapito dai virtuosismi dei due (ma sia detto con grande umiltà: che diavolo, non sono mica Morgan !) arrivando all’estasi poco a poco grazie ad una “Besame Mucho” delicata ed una suntuosa interpretazione del più bel tango mai scritto: “Por una Cabeza”
Essendo un classico esempio di “libro aperto” i due hanno inteso il mio godimento per il loro suonare e con grazia mi hanno chiesto se avessi una richiesta da proporgli.
Al mio declino in italiano – “suonate quel che vi pare, ma suonate …io resto qua” – mi hanno fatto capire che il prossimo pezzo sarebbe stato un “O sole mio” oppure “Un ritorna a Sorrento”.
Pur amando la grande tradizione napoletana (Salvini, io no. Non ti saluto!) ho risposto che, “no, suonate qualcosa della vostra terra …”, della vostra Cultura, del vostro essere “diversi”, cosicché “sia io a sentirmi ancora più vicino a voi”.
Il più vecchio, il violinista, mi ha lanciato sorriso sardonico, come a dirmi: “e bravo guaglione …”
E hanno attaccato con la Danza Ungherese n.5 di Brahms in pieno stile tzigano e l’emozione è stata fortissima.
Io di musica classica non è che ne capisca un pozzo, anzi. Per dire, fino a quel momento quella era la musica del Grande Dittatore e così – grazie a quel straordinario regalo che mi veniva fatto in quel momento – mi sono lasciato trasportare e rapito dalla musica vi giuro che tra la gente in coda per l’accesso al Palazzo ho visto il “barbiere” Charlot – guarda caso un altro diverso … – aggirarsi beffardamente con il suo passo dinoccolato.
Dio, che gusto !
Sul finire del pezzo ho ripensato a tutto il film, all’ostracismo che proprio Chaplin ha dovuto affrontare perchè non omologato, al fiasco della prima per quel messaggio contenuto nel Discorso all’Umanità che ci invita a godere della felicità del prossimo ed a ribellarci contro chi non ci vuole cittadini, ma servi.
Forse la mia fantasia ha corso troppo, ma non vi fossero stati due Gitani con un violino ed una fisarmonica, con la loro “diversità”, non avrebbe neppure cominciato a correre …
Così quando ci siamo salutati avevo le lacrime agli occhi.
Ancora grazie, G.
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